Quando allattare diventa argomento di contenzioso legale

Quando i genitori si separano, allattare purtroppo può diventare argomento di contenzioso in aula. Quanto più i tassi di allattamento (per fortuna!) crescono, così come sale l’età dei bambini allattati, tanto più il fatto che il bambino è allattato può diventare oggetto di scontro davanti al giudice. Durante le consulenze, mi capita quindi sempre più spesso di dover trattare questo aspetto. Generalmente invito le mamme a non usare l’argomento allattamento per spiegare al giudice perchè il suo bambino non possa essere separato da lei per molte ore, in quanto la reazione del giudice può essere addirittura sfavorevole alla madre: si trova infatti a dover valutare una situazione che probabilmente non ha mai incontrato prima, e della quale sa quello che sa questa cultura, cioè poco e spesso infarcito di pregiudizi. Le mamme spesso mi chiedono aiuto anche per cercare gli articoli di legge relativi.

Ho chiesto allora ad  Antonella Anglisani, mamma di due bimbe allattate e avvocato a Roma, che si occupa soprattutto di diritto familiare, di fare chiarezza su cosa dice la legge.

Antonella, cosa dice oggi la legge per l’affido dei minori in caso di separazione?

“La legge 8 febbraio 2006, n. 54, la cosiddetta legge sull’affido condiviso, ha approvato disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli riconoscendo a questi ultimi il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con i genitori e di ricevere da loro cura, educazione ed istruzione.

 La legge cercava infatti di riequilibrare una situazione in cui l’88 % degli affidamenti dei figli aveva carattere esclusivo cioè, prima di entrare in vigore la legge sull’affido condiviso, l’88% delle cause si concludeva con l’affidamento esclusivo alla madre, e in tanti casi il padre veniva escluso dalla vita del minore. 

C’è stata quindi la richiesta legittima e sempre più frequente da parte di padri separati che chiedono un tempo paritetico a quello della madre, da trascorrere insieme ai propri figli. Durante le cause di separazione o affidamento del minore, di solito il giudice valuta autonomamente le capacità genitoriali, e sulla base di quanto i genitori riferiscono decide se l’affidamento debba essere condiviso o esclusivo, stabilendo anche il tempo che i figli devono trascorrere con ognuno di loro. Dopo l’entrata in vigore della legge sopramenzionata di regola si preferisce l’affidamento condiviso. Nel caso emergessero particolari problemi di natura psicologica, o particolare conflittualità tra i genitori, il giudice nomina un consulente tecnico d’ufficio (i competenti servizi sociali) che ha il compito di esaminare i genitori ed il minore ed il rapporto che sono in grado di instaurare, in modo da fornire al giudice maggiori elementi per decidere in merito all’affido.

Siamo quindi di fronte a separazioni giudiziali che tuttavia, come le consensuali, hanno l’obiettivo principale di tutelare il minore affinché possa mantenere un sano ed equilibrato rapporto con entrambi i genitori.”

Cosa succede allora in  tutte quelle situazioni di affido di bambini molto piccoli e che quindi spesso sono ancora allattati?

“Dai 0 ai 3 anni, oggi spesso il padre chiede di poter trascorrere con il figlio un tempo paritetico a quello della madre. I genitori valutati idonei nelle loro capacità genitoriali sono in grado di occuparsi dei propri figli, anche se chiaramente non nello stesso identico modo. In tantissimi casi poi il padre, prima della separazione, nella fascia d’età compresa tra 0-3 anni, partecipava poco all’accudimento del figlio, anche se è più presente nella sua vita rispetto a quanto riusciva a fare il proprio padre.

C’è stato in effetti negli ultimi venti anni, un mutamento nel ruolo paterno. I padri di oggi sono più capaci di riflettere e di mettere in discussione i propri comportamenti e di ascoltare e di relazionarsi maggiormente con i propri figli.

Tuttavia la nuova paternità non modifica la priorità che i padri attribuiscono al lavoro. Invece la madre già da molti anni ha dovuto confrontarsi con il problema lavoro e famiglia trovando comunque il modo, anche a prezzo di notevoli sacrifici, di conciliare o rinunciare alla sua realizzazione lavorativa, per dedicarsi all’accudimento dei figli.

Se la madre allatta il minore, la richiesta del padre di occuparsi del figlio per un tempo paritetico alla madre a mio avviso non può essere sostenuta e proposta al giudice per una serie di evidenze che difficilmente possono essere confutate.

Infatti è impensabile, se stanno a cuore gli interessi preminenti del minore, come sancisce la legge sulla separazione, che durante i tempi di permanenza presso la madre venga allattato al seno e quando è con il padre venga nutrito diversamente. Questo però non impedisce che il padre possa frequentare e tenere con sé il bambino sempre però rispettando i tempi per l’allattamento. Il problema che si pone semmai è quello relativo al fatto che possa essere allattato fino all’età di 2 anni ed oltre come prevedono l’OMS e l’UNICEF.”

 

Certo. Infatti se anche gli “addetti ai lavori”, come medici e psicologi che si occupano di madri e bambini, spesso non conoscono i benefici dell’allattamento, e hanno notevoli pregiudizi verso chi allatta dopo i 6 mesi o l’anno, non possiamo certo pretendere che un giudice sia più aggiornato. Usare quindi la “carta” allattamento, diventa paradossalmente un boomerang per le mamme che allattano, che da quel momento in poi possono venir tacciate di morbosità o altri pregiudizi simili – non sostenuti dall’evidenza scientifica come ben sappiamo.

Cosa può fare allora una mamma che allatta per veder garantito il diritto suo e del bambino di allattare? Io credo che continuare ad allattare e non fare tante ore di separazione in un bimbo molto molto piccolo non sia un’azione “contro” il padre, ma per il benessere del figlio, che lo stesso papà ha a cuore.

“Ha suscitato un certo interesse una sentenza della Cassazione, I Sezione Civile, 26 settembre 2011, nr. 19594/11, con la quale la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui il minore sino al compimento del quarto anno di età non dovrebbe pernottare presso il padre. La Suprema Corte nella sua decisione ha ricordato la Convenzione internazionale di New York del 20 novembre 1989.

Detta Convenzione stabilisce il diritto del fanciullo di mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori, salvo quando ciò sia contrario all’interesse superiore del fanciullo.

La Corte ha poi ribadito il principio di cui all’art. 155 del codice civile il quale prevede che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. Il giudice quindi, quando deve decidere sull’affidamento e sul diritto di visita del figlio minore deve sempre mettere in primo piano l’interesse del figlio e ovviamente un bimbo di pochi anni dovrà per forza trascorrere un tempo maggiore con la madre.

Detta sentenza non è una Legge di Stato, purtroppo Leggi specifiche sull’allattamento non esistono, vale però come argomento di convincimento per il giudice che si occupa concretamente del caso.

Infatti quello che dobbiamo avere sempre come obbiettivo primario è l’interesse del minore, le coppie non debbono usare i propri figli per ferirsi a vicenda, bisogna rispettare i loro diritti e i loro bisogni.

Le donne purtroppo incontrano difficoltà quando si trovano davanti ai giudicanti ed allattano oltre i 6 mesi canonici, i giudici non sono abituati alla questione allattamento “prolungato”.

Bisogna quindi solo spiegare loro che lo si fa nel supremo interesse del minore, nulla togliendo ai diritti del padre, e non perché la madre ha un attaccamento morboso nei confronti del bambino, come a volte sostengono alcuni padri.”

Nel caso in cui poi, la mamma debba gestire la separazione dal bambino mentre allatta, la IBCLC può aiutarla per gli aspetti pratici. Nel prossimo articolo tratterò dell’argomento dal punto di vista psicologico.

Grazie mille, Antonella!

 

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