Quando l’aiuto proposto non è per niente un aiuto: storia di Chiara e di paracapezzoli

Quando io sono diventata Consulente, il paracapezzolo era uno strumento che veniva usato davvero sporadicamente, ma negli ultimi anni il marketing ha martellato ben benino ed oggi siamo di fronte a una vera e propria epidemia di situazioni per cui il “plastichino” sembra diventato indispensabile.

Purtroppo infatti il paracapezzolo negli ultimissimi anni viene proposto con eccessiva leggerezza e con la presunzione di risolvere una gamma di “problemi” che spesso problemi non sono affatto. Questo dovrebbe farci riflettere tutti seriamente… cosa facevamo fino a pochi decenni fa quando non esistevano? All’epoca delle nostre mamme non c’erano mica… ma anche solo meno di dieci anni fa, prima che diventassero così sponsorizzati. Così indispensabili allora??

Non solo quindi i paracapezzoli non possono “risolvere” niente, ma creano più difficoltà di quelle che dovrebbero risolvere.

Quando dico questo, spesso vedo facce perplesse se non dichiaratamente contrarie.  Spesso c’è chi risponde “ma io/mia sorella non ho/ha avuto problemi”… Quello che vi dico si basa su migliaia di casi, non sul caso singolo, e il paracapezzolo è stato dimostrato utile solo in casi rari, in genere associati a prematurità o patologie, che non hanno niente a che fare con i motivi per cui oggi le mamme che partoriscono si sentono suggerire il loro uso.
Eppure, ti assicuro che raccolgo, quotidianamente ormai, storie di mamme con difficoltà, in particolare nell’avvio dell’allattamento, dove è stato proposto troppo velocemente il paracapezzolo che non solo non ha risolto niente, ma ha anche peggiorato la situazione.

Oggi quindi ringrazio Chiara, mamma di Eva, che mi ha generosamente scritto la sua testimonianza nella speranza che sia di aiuto e prevenzione per altre mamme o future mamme. Leggiamo la sua storia:

La mia avventura con i paracapezzoli inizia già in clinica, quando al primo giorno di ricovero dopo il parto un’ostetrica del nido me li consiglia per via del mio presunto capezzolo piatto. Premetto che la nascita di Eva è stata del tutto naturale, in acqua, senza interventi medici e farmaci. Dopo la nascita l’ho tenuta sul petto per circa 20 minuti, poi hanno tagliato il cordone e data al papà. Nel mentre ho espulso la placenta e mi hanno messo i punti. Poi me l’hanno ridata per circa un’ora ma nessuno mi ha dato una mano e io da sola non riuscivo nonostante lei fosse bella sveglia. Di nuovo me l’hanno tolta per la visita, io sono stata portata in reparto e poi dopo circa 4 ore me l’hanno riportata. Da lì fino alle dimissioni siamo state in rooming in, a parte il giro di visite la mattina presto.

Nei primi due giorni ho provato giorno e notte ad attaccarla con scarsi risultati. Le ostetriche mi davano consigli discordanti e addirittura la pediatra mi diceva che era normale che i primi giorni i neonati non si attaccassero al seno (Nota di Martina: niente affatto: un bambino che non si attacca nei primi *giorni* – giorni addirittura – è a rischio gravissimo di calo eccessivo di peso e disidratazione)! Tutto ciò in una struttura dove fanno una gran pubblicità sull’allattamento al seno. Arriva il giorno delle dimissioni e il mio morale era a terra, sentivo un senso di inadeguatezza enorme, non so quanto ho pianto. Vedendomi così un’ostetrica del nido, animata da buone intenzioni, cerca di aiutarmi strizzando il mio capezzolo e contemporaneamente spingendo la testolina della bimba, che dopo minuti di pianti alla fine si attacca e poppa per circa 30 minuti. Stessa scena si ripete per l’altro seno. Io sempre più disperata perché penso “e a casa da sola come cavolo faccio??”. Ne parlo con la pediatra di turno che sempre spremendomi il capezzolo (ma perché non si strizzano i loro, poi?) decide che ancora non mi è arrivato il latte (NdM: certo, infatti c’è il colostro, leggi qui), perciò cosa facciamo? Una bella aggiunta, che la bimba si spazzola in 5 minuti!! Qui proprio ricordo di aver ricevuto una pugnalata… ormai veramente in uno stato pietoso torno a casa con in regalo una bella confezione di formula: per fortuna è ancora chiusa sigillata (ndM: questa è una cosa gravissima, in quanto i regali di latte artificiale non sono solo in violazione del Codice OMS/UNICEF, ma IN ITALIA VIETATI DALLA LEGGE!).

Farei una pausa qui, e già ci sarebbe tantissimo da dire sul racconto di Chiara (non sono riuscita a trattenermi su due o tre cosette e ho messo brevissimi commenti tra parentesi, ma ci sarebbe da scrivere per pagine e pagine), ma voglio concentrarmi sulla faccenda paracapezzolo.

Il paracapezzolo è indicato nel caso di capezzolo piatto (o di qualsiasi altro genere)? NO.

Il capezzolo piatto è un problema? NO

Come potrai leggere nell’articolo della prossima settimana, il bambino poppa al seno, non al capezzolo, quindi non ci interessa che il capezzolo sia piatto (o corto, o piccolo, o qualsiasi altra definizione gli abbiano dato) e serve solo un po’ di pazienza perché quella mamma e quel bambino si “incontrino”, si “conoscano”, si “trovino”. Momenti che spesso vengono invece ostacolati, affrettati, disturbati.

Ma poi è proprio l’offerta del paracapezzolo, che ha una forma, lunghezza, durezza, e (in)capacità di allungarsi totalmente diversi da un normale capezzolo umano, a creare il problema.

Il neonato, che appena nato deve “prendere confidenza” col seno della sua mamma, e sia lui che lei stanno facendo i primi passi in questa abilità, magari avrà/avranno entrambi bisogno di un attimo di pazienza, tempo, attenzione, per capire cosa devono fare…
E a maggior ragione se il piccolo sta trovando qualche difficoltà a capire come gestire il seno della mamma, riceve, invece che aiuto ad attaccarsi, un affare duro e rigido in bocca, così spesso impara a rispondere a quello stimolo sensoriale, e come mai potrà fare a imparare invece dal seno della sua mamma?

Così, per non aver trovato aiuto nelle prime poppate, la neomamma si trova con un neonato che non riesce ad attaccarsi, e la soluzione paracapezzolo sembra così semplice e indolore: il piccolo/a non si attacca? Ecco ora è attaccato, che problema c’è? Sembra la facile soluzione a tutti i mali. Ma lo è davvero, una strategia senza effetti collaterali, indolore? Purtroppo no. In questo altro articolo ti spiego quali problemi provoca e come finisce la storia di Chiara.

 

Questo articolo ti è stato utile? Hai un’amica a cui può essere di aiuto? Inoltraglielo e metti il Mi piace! Se non vuoi perdere i prossimi articoli iscriviti alla newsletter dal form qui a destra.

Grazie a Chiara ed Eva per la foto!

 


Both comments and pings are currently closed.

Comments are closed.

Powered by WordPress

Facebook

Get the Facebook Likebox Slider Pro for WordPress